Per anni ho pensato che contribuire a finanziare una giusta causa non fosse compito mio, ma dello Stato, o, al limite, della Chiesa. Tutte le campagne di tipo sociale o umanitario promosse da tal ente o tal altra associazione mi hanno lasciato sempre piuttosto indifferente, anzi talvolta mi hanno persino infastidito.
Per rafforzare e avvalorare il mio atteggiamento, il mio chiamarmi fuori, non solo invocavo la “competenza” di altri (lo Stato appunto, o la Chiesa) che tali finalità le hanno come proprio compito istituzionale, ma aggiungevo il sospetto (non saprei dire quanto giustificato) che i miei soldi (pochi o tanti che fossero) potessero finire in mani disoneste, non arrivare per qualche motivo a destinazione. Perché prestarsi a possibili speculazioni, mi dicevo, perché alimentare circuiti sconosciuti che non mi danno adeguate garanzie?
Poi tempo fa è capitata una cosa che non mi aspettavo. Ero entrato in un negozio di alimentari che sta a pochi passi da casa per comprare due o tre cose per le quali non valeva la pena prendere la macchina ed andare al supermercato. Alla cassa, davanti a me, c’era un’anziana signora che si stava facendo fare il conto. Quando la signora ebbe in mano lo scontrino, restò perplessa e mormorando qualcosa circa l’importo da pagare, che le sembrava evidentemente eccessivo per ciò che aveva comprato, chiese gentilmente di controllare se per caso non ci fosse stato qualche errore. La cassiera accondiscese di buon grado a rifare il conto, ma l’importo era giusto e quindi non potè far altro che confermarlo, e quasi si scusava per l’evidenza della cosa. La vecchietta allora ringraziò, pagò e senza aggiungere altro uscì dal negozio con la busta in mano.
Quando a mia volta uscii anch’io e vidi la donna mentre si allontanava lentamente sul marciapiede, mi sentii stringere il cuore e mi venne per un attimo la tentazione di raggiungerla e trovare il modo di offrirle io la spesa. Mi resi subito conto che era un’idea sciocca, che non era proprio il caso, la signora si sarebbe sentita sicuramente offesa e umiliata e io stesso mi sarei procurato solo un grandissimo imbarazzo. L’episodio servì però a farmi riflettere su come sia esile quella linea di demarcazione che ci fa comodo tracciare fra noi e gli altri, fra la vita di tutti i giorni di coloro che riescono a tenerla al riparo dal bisogno e dalla sofferenza e quella stentata di chi fa fatica a viverla.
Così, quando alcune sere fa è passata in televisione, fra le tante, troppe pubblicità stucchevoli, stupide e spesso volgari, quella di un’associazione onlus (http://www.forasmile.org/) che si propone di costruire in Congo un centro di accoglienza per le bambine di strada e invitava a donare due euro, ho pensato: “A me due euro non mi cambiano la vita, ma per una bambina di Kinshasa possono significare molto”.
E allora l’ho fatto. Per la prima volta nella mia vita ho compiuto un atto di solidarietà.
E allora l’ho fatto. Per la prima volta nella mia vita ho compiuto un atto di solidarietà.
Nessun commento:
Posta un commento